Approvata la riforma che ridefinisce le quote di finanziamento dell’audiovisivo Alcune quote scendono, altre salgono, ma il panorama rimane confuso. Il 20 marzo 2024 è stata approvata in via definitiva dal Consiglio dei ministri la riforma del Tusmav (Testo unico dei servizi media audiovisivi). Il governo ha recepito, con delle significative modifiche, le disposizioni integrative e correttive proposte dal parlamento su uno schema di decreto legislativo volto a ridefinire, tra le altre cose, il “sistema delle quote”, ovvero la percentuale che i “servizi di media audiovisivi” (imprese televisive e piattaforme OTT operanti in Italia) sono tenuti a investire in opere europee e italiane. Le modifiche, così come i vari pareri che le hanno precedute, dovrebbero correggere – «in considerazione dell’evoluzione della realtà del mercato» – la precedente normativa, approvata nel 2021 dal governo Draghi. La riforma ha negli ultimi giorni amplificato un dibattito che, eccezion fatta per pochi articoli sulla stampa generalista – con posizioni a volte massimaliste e poco aderenti alla realtà dei fatti – rimane confinato agli “addetti ai lavori”, tra appelli, comunicati stampa e memorie fatte pervenire alle commissioni parlamentari dagli operatori che si sono sentiti chiamati in causa. Poche, quindi, le ricostruzioni esaustive; molte, invece, le dichiarazioni dai toni allarmistici sul futuro dell’audiovisivo italiano. Un certo silenzio si è avvertito, oltre che sulle pagine delle maggiori testate, anche tra le forze politiche, a eccezione delle due principali anime della maggioranza: la Lega, apparentemente a favore di una diminuzione generalizzata delle quote, e Fratelli d’Italia, intenzionata soprattutto ad aumentare le percentuali dedicate ai contenuti italiani. Proviamo quindi a fare chiarezza su quanto realmente approvato dal governo, partendo da che cos’è il Tusmav e in cosa consiste il “sistema di quote” che predispone. Che cos’è il Tusmav? Il Testo unico dei servizi media audiovisivi si configura come l’evoluzione del Tusmar (Testo unico della radiotelevisione) emanato dalla L. n. 122/2004 (legge Gasparri), a sua volta in applicazione delle direttive europee sull’emittenza radiotelevisiva. L’attuale Testo unico nasce nello specifico dal Decreto Legislativo n. 208 del 8 novembre 2021 in attuazione della Direttiva UE 2018/1808, la “Servizi di media audiovisivi” (AVMSD) che, sulla scia della Direttiva “Televisione Senza Frontiere” (89/552/CEE) e delle sue successive modifiche, mira a favorire la libera circolazione dei contenuti audiovisivi europei nel mercato comunitario, proteggere la diversità culturale, tutelare i minori e fissare norme comuni sugli affollamenti pubblicitari. In merito soprattutto ai primi due obiettivi, la direttiva del 2018 si differenzia dalle precedenti per l’introduzione di obblighi (le cosiddette “quote”) anche nei confronti dei “fornitori di servizi di media audiovisivi a richiesta”, ovvero le piattaforme over-the-top come Netflix, Prime Video e Disney+. Nello specifico, il primo comma dell’articolo 13 della AVMSD sancisce che tali soggetti devono garantire «che i loro cataloghi contengano almeno il 30 % di opere europee e che queste siano poste in rilievo», mentre il secondo e il terzo comma lasciano la libertà ai singoli Stati membri di richiedere ai fornitori di media audiovisivi (anche lineari, come il servizio pubblico e le televisioni commerciali) di contribuire finanziariamente alla produzione di opere europee, sulla base delle loro entrate e in misura considerata proporzionata e non discriminatoria. Nel recepimento italiano (D. Lgs. 208/2021) tali obblighi di finanziamento vengono tradotti all’interno di due articoli, l’art. 54 e l’art. 55, rispettivamente dedicati agli operatori lineari (le reti Rai, Mediaset, Warner Bros. Discovery, Sky, Cairo, ecc.) e a richiesta (Netflix, Prime Video, Now, Disney+, Paramount+ ecc.). Lo schema di obblighi previsto dall’Italia risulta piuttosto stratificato e complesso (come rilevato anche da Agcom) ed è considerato, insieme a quello francese, tra i più protezionistici del continente. Per necessità di sintesi, si riporta qui di seguito, in una divisione a punti in base alla tipologia di operatore, il sistema di quote di finanziamento precedentemente in vigore, insieme alle modifiche approvate il 20 marzo 2024. Lo schema delle quote Dalla “televisione senza frontiere” ai “muri nazionali di quote” Né i suggerimenti del parlamento né le modifiche definitivamente approvate dal governo sono apparse andare in una direzione univoca, tanto da aver generato da un lato una certa confusione – rendendo complicato, al di là della loro interpretazione, anche il mero calcolo delle quote – dall’altro alcune letture “ideologizzate” o allarmiste: dai presunti favori alle televisioni commerciali (in particolare Mediaset), alla riduzione della serialità Netflix, fino all’affossamento della produzione indipendente e del comparto dell’animazione (che chiedeva una sotto-quota dedicata a broadcaster e streamers privati). Proviamo quindi, in base alle informazioni a disposizione, a ipotizzare cosa nel nuovo Tusmav potrebbe funzionare e cosa, invece, manca. La linea adottata dal governo è probabilmente riassunta nella dichiarazione del Presidente della Commissione Cultura della Camera dei Deputati Federico Mollicone (Fratelli d’Italia): «Bisogna sostenere l’industria italiana senza allontanare il mercato internazionale. Bisogna trovare una sintesi che è poi la parola magica della vera politica». Una forma di “equilibrismo” che, almeno per quanto riguarda gli streamers, si traduce in una diminuzione delle quote di investimento da destinare a opere europee, a cui fa da contraltare un aumento della loro percentuale di “italianità”. In sostanza, meno contenuti europei, ma, tra questi, più contenuti italiani. La riforma, ad ogni modo, non presuppone delle modifiche significative all’impianto precedente. La stessa articolazione delle quote è, nei fatti, rimasta invariata e forte rimane l’ispirazione alla trasposizione – con “struttura ad albero” – messa a punto dalla Francia (che ha un range di obblighi finanziari per i VOD che va dal 15% al 25% e ulteriori sotto-quote per i contenuti francesi e le opere filmiche), Paese che – ammesso che se ne condivida l’indirizzo protezionista – è spesso preso a modello in fatto di politica culturale. In tale orizzonte, appare ragionevole il mantenimento di uno schema che potrebbe, insieme ad altre forme di sostegno pubblico, aver finora contribuito a una crescita dei volumi produttivi dell’audiovisivo italiano. Apprezzabile, in questo senso, la scelta di non diminuire (ad eccezione di una leggera flessione sulla sotto-quota film) le percentuali di finanziamento in capo alle televisioni commerciali, che avrebbe amplificato il divario tra gli operatori lineari e non lineari. …
L’altalena delle quote. Cosa funziona (e non funziona) nella riforma del Tusmav Leggi altro »