Annuario TV

Sanremo 2025: bilancio di un successo

La settantacinquesima edizione del Festival di Sanremo si è chiusa con numeri che non solo cementano, una volta di più, lo status della manifestazione come principale evento mediale nazionale, ma palesano anche la capacità adattiva del Festival rispetto alle mutevoli abitudini di consumo audiovisivo del pubblico italiano. Dopo il quinquennio segnato dalla direzione artistica e dalla conduzione di Amadeus, capace di trainare il Festival ad alcuni dei dati d’ascolto più elevati dagli anni Novanta, il mandato di Carlo Conti – già alla guida della manifestazione tra 2015 e 2017 – era di mantenere la presa sul rinnovato interesse del pubblico per Sanremo, nel frattempo fuoriuscito dai confini dello schermo televisivo tradizionale e giunto a presidiare anche i device mobili, tanto sull’app di RaiPlay, quanto sulle piattaforme social. Proprio tenendo conto dei differenti canali distributivi su cui si declina, ormai, il prodotto televisivo è possibile fornire un bilancio esaustivo della manifestazione – peraltro caratterizzata, sul piano della misurazione, dalla presenza del nuovo standard di Total Audience Auditel, in vigore da dicembre 2024 – ponendo l’attenzione, al contempo, su alcune tendenze relative all’evoluzione del pubblico del Festival nel tempo. I dati di Total Audience Applicando all’edizione del 2024 l’attuale criterio di misurazione degli ascolti – che include, secondo lo standard di programma, non solo il dato live + vosdal da televisione, ma anche l’apporto degli small screen – il Festival condotto da Carlo Conti risulta prevalere rispetto al precedente Sanremo sia in termini di AMR, sia di share. Cumulando i risultati delle cinque serate, l’edizione 2025 si attesta infatti a 12,5 milioni di ascolto medio contro gli 11,7 milioni del 2024, per una crescita del 6%; a livello di share, il confronto tra le due annualità vede il Festival appena concluso crescere di quasi un punto percentuale sul 2024, 67,1% contro 66,2%. Il raffronto tra le due edizioni si fa tuttavia più interessante prendendo in considerazione le performance delle singole serate, caratterizzate da un costante vantaggio di Sanremo 2025, interrottosi piuttosto bruscamente solo con la finale. Più nel dettaglio, la prima, la seconda e la quarta serata dell’edizione 75 si posizionano al di sopra del summenzionato vantaggio del 6% medio sul 2024 e anche la terza serata – in tutte le metriche la più debole del Festival – registra un +4% sull’ultimo Sanremo condotto da Amadeus. La serata conclusiva, invece, segna una chiara battuta d’arresto, perdendo l’8% sul 2024 in termini di AMR, corrispondente a oltre un milione di telespettatori, dai 14,6 del 2024 (includendo un apporto di circa 300,000 small screen) ai 13,4 del 2025. Al netto di questa flessione rispetto al 2024, anche quest’anno la serata finale si è comunque confermata la più seguita dell’edizione – come accaduto in 26 dei 39 Festival rilevati da Auditel e ininterrottamente dal 2012 – sia in termini di ascolto, sia sul piano della share, che è risultata pari al 73,1%, raggiungendo un picco dell’87,3% durante la proclamazione del vincitore. L’evoluzione del pubblico di Sanremo Per quel che concerne la composizione del pubblico del Festival nel 2025 è importante sottolineare, in primo luogo, un elemento di continuità con l’annata precedente, che risulta perfettamente allineato alle tendenze demografiche già osservate, negli ultimi anni, all’interno della platea televisiva e della società italiana in senso lato. Si nota, infatti, che il segmento di pubblico con almeno 45 anni di età contribuisce per il 65% all’ascolto medio del Festival, un dato pressoché analogo a quello registrato nel 2024; allo stesso modo, rimane stabile l’età media degli spettatori, che si attesta a 52 anni, a fronte di un’età media italiana giunta ormai a poco meno di 49 anni. Vale la pena osservare, però, che sebbene le fasce di pubblico adulto risultino le più nutrite in valore assoluto, in termini di incremento percentuale l’AMR ha registrato tra i giovani la crescita più marcata rispetto al 2024. In particolare, la variazione più sensibile ha riguardato i bambini di età tra i 4 e i 7 anni (+31%), seguiti dal segmento 8-14 (+14%) e 15-24 (+12%), mentre la fascia 25-34 risulta l’unica segnata da una contrazione rispetto all’edizione precedente (-9%). Queste evidenze trovano conferma anche considerando i dati di share rapportati all’edizione 74, che palesano un particolare dinamismo tra i bambini tra i 4 e i 7, cui si oppone una lieve contrazione nei segmenti 25-34 (-1,6%) e 65+ (-0,5%). Sempre in relazione al dato di share, è opportuno sottolineare ulteriormente la rilevanza del pubblico giovane, che sebbene non quantitativamente maggioritario registra i valori più elevati: proprio come nel 2024, la fascia 15-24 ottiene la share più elevata sulle cinque serate, con una media dell’84% e un picco dell’88% nella finale. È di poco inferiore – come nell’edizione precedente – il dato dei ragazzi tra gli 8 e i 14 anni, con una share media giunta all’80%. Al polo opposto, anche in questo caso in linea con l’edizione precedente, si posiziona la coorte anagrafica più numerosa, quella degli over 65, la cui share media si ferma appena sotto il 60%. Il ruolo dei device connessi in diretta Come anticipato, il nuovo standard di Total Audience sviluppato da Auditel tiene conto dell’apporto degli small screen e di tutti i dispositivi connessi, che vanno a sommarsi – in forma individualizzata – agli ascolti televisivi tradizionali. Nel 2024 le cinque serate del festival avevano registrato una media di circa 300,000 spettatori connessi in diretta tramite pc, tablet o smartphone: nel 2025 il dato cresce del 24%, arrivando a quota 376,000 spettatori e contribuendo per il 3,1% degli ascolti complessivi  – con un picco del 3,4% nella serata conclusiva – per una media di 568,000 device connessi nel minuto medio (comprensivi delle connected tv). Per avere una misura della crescita del consumo televisivo da schermi connessi negli ultimi anni si tenga presente che al termine di Sanremo 2022 il dato complessivo di AMR-D risultava ancora di poco superiore ai 220,000 dispositivi. Complessivamente, nell’arco delle cinque serate, i device connessi hanno erogato un totale di quasi 17 milioni di legitimate streams per i contenuti in diretta …

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La sfida della Multipolarità

La scommessa di una “televisione resiliente”, sulla quale abbiamo puntato alla fine dello scorso anno, si conferma puntualmente quest’anno. Ma, nel quadro complessivo, sono intervenuti altri mutamenti di rilievo. Con la stagione 2023-24, possiamo dire che si conclude un’epoca, significativamente iniziata quarant’anni fa. Nel 1984, con la fondazione di Auditel, e poi, due anni dopo, con l’inizio delle rilevazioni degli ascolti, va definendosi il quadro duopolistico che ha caratterizzato quattro decenni di storia televisiva. L’approdo alla Total TV – significativamente legato alla misurazione della “Total audience”, ovvero del consumo su tutti i device e piattaforme combinando il metodo censuario e campionario – segna anche un passaggio verso un mercato più maturo, caratterizzato dalla multipolarità, che è il segno dell’Annuario 2024. L’esercizio interpretativo che abbiamo provato a fare quest’anno riguarda appunto la lettura a nostro avviso più efficace di questa multipolarità. Partiamo dall’assunto, variamente evidenziato anche negli scorsi Annuari, che riguarda il ruolo cruciale del contenuto di produzione originale, nel vasto range di generi che caratterizza l’offerta audiovisiva. Se escludiamo le news (che, almeno per i principali telegiornali nazionali, continuano a rappresentare un rituale quotidiano per milioni di famiglie italiane, parte essenziale del più ampio rituale della fruizione lineare) e lo sport (che punteggia l’offerta di eventi, talvolta anche eccezionali, come accade per i principali appuntamenti calcistici, o per le Olimpiadi appena concluse), i contenuti di produzione originale nella macro-area dell’unscripted (ovvero: Game, Talk, Entertainment, Factual, Docu, Talent/Reality/Dating, Magazine, Infotainment e Contenitore, secondo il consolidato standard CeRTA) e in quella dello scripted (Serialità, Film per la TV e le piattaforme, Docu-drama, Kids & Early Teens) si confermano come la motivazione principale del consumo di TV, sia nei casi di prodotti più mainstream che di nicchia. Content is still the king, si potrebbe dire. Lo dimostra il grafico qui sotto (cfr. Fig 1) che, sulle principali reti nazionali prova a isolare il valore aggiunto della produzione originale nella generazione di ascolto (qui espresso come variazione percentuale sulla share media in relazione alle share delle reti). Nel caso del servizio pubblico, Rai2 è il canale i cui contenuti di produzione ottengono un ascolto superiore del +30% rispetto alle performance della rete, mentre per Rai3 si osserva una variazione del +3%. Per quanto riguarda l’ammiraglia Rai1, la share media della produzione originale è invece molto vicina a quella del canale proprio perché la sua offerta si compone prevalentemente di contenuti di produzione. Considerando Mediaset, i programmi originali di Canale 5 ottengono un ascolto superiore del +7% rispetto alla media di rete, quelli di Rete 4 del +19% e quelli di Italia 1 del +34%. Anche La7 e Nove mostrano un vantaggio significativo delle produzioni originali, con variazioni rispettivamente del +35% e del +49%. Il grafico riportato qui sopra deve essere letto in continuità con il successivo (cfr. Fig 2), che definisce le posizioni delle principali reti (e delle piattaforme SVOD) in relazione alle caratteristiche principali della propria offerta originale. Cosa emerge da questo esercizio interpretativo? Ancor più dei dati d’ascolto, questa visualizzazione dei “posizionamenti dell’offerta” spiega, ancora di più, la centralità della TV e dell’audiovisivo nel sistema dei media. Una centralità che è frutto, in primo luogo, della quantità, ricchezza e varietà dell’offerta originale (quasi 18mila ore di contenuto originale, fra scripted e unscripted, nel corso della stagione, al netto di repliche). Ma non si tratta solamente di quantità e ricchezza di contenuto. La mappa (cfr. Fig 2) è costruita su due assi. Sull’asse delle x, è stato considerato il numero di generi che ciascun contenitore (rete o catalogo) presenta nella propria offerta originale scripted e unscripted. Insomma, una duplice polarità fra un modello di offerta molto diversificato (quello che oggi potremmo intendere per “generalismo”) e uno invece molto focalizzato, per esempio su uno o pochi generi (che oggi caratterizza non solamente le reti tematiche, ma più in generale anche le piattaforme SVOD). Sull’asse delle y, invece, abbiamo classificato i diversi generi presenti nell’offerta originale dei contenitori (reti o cataloghi SVOD) sulla base dell’attitudine del genere a un approccio più emotivo (è il caso, per esempio, del Talent-Reality-Dating o dell’Entertainment) o più cognitivo (come nel Talk o nel Docu). A nostro parere, questa mappa mostra due aspetti importanti dello scenario dell’offerta contemporanea. Essa spiega, in primo luogo, la resilienza della TV. La televisione (includendo ora l’insieme dell’offerta dello streamcasting) continua a raccogliere un vasto interesse perché dà risposta a bisogni e attitudini di consumo differenti, che possiamo identificare in quattro aree: la televisione offre una sincronizzazione giocata sui temi della distensione e della leggerezza, col suo basso continuo di prodotti di intrattenimento. Ma la televisione propone, al contempo, coi suoi generi più cognitivi, una varietà di finestre sul reale destinate ad alimentare la sfera pubblica. Attraverso una serie di offerte più specializzate, che sembrano attagliarsi ai gusti di molteplici nicchie, l’offerta audiovisiva contribuisce a una distinzione d’evasione, incrociando interessi e motivazioni di visione specifici. Ma anche a rispondere a specifici bisogni di approfondimento sull’attualità. È la complessità e l’articolazione di questa offerta la ragione principale della resilienza. Non sfugga però, in questa rappresentazione, un secondo aspetto. Come si può vedere dai diversi pianeti, e dalle galassie dei diversi editori, l’offerta rappresenta chiaramente un universo multipolare. Se gli editori tradizionali sembrano presidiare meglio il versante della sincronizzazione (il palinsesto come un rituale condiviso), altri editori televisivi e, soprattutto, le piattaforme rispondono al desiderio di differenziazione e distinzione (ovviamente anche in relazione alle modalità distributive non lineari). Visto da questo punto angolo, si capisce come la multipolarità dell’offerta audiovisiva nazionale, distesa fra broadcasting e streaming, è ormai un punto di non ritorno, mentre il duopolio appartiene a un’età ormai conclusa della storia della televisione. (Massimo Scaglioni)

Annuario TV 24 cards

Multipolarità

Televisione e streaming verso il mercato maturo

Workshop di presentazione dell’Annuario 2024 della TV italiana

Giovedì 5 dicembre 2024 alle ore 10.30 presso la sede dell’Università Cattolica di Milano si terrà il workshop “MULTIPOLARITÀ. Televisione e streaming verso il mercato maturo“, dedicato alla presentazione dell’Annuario 2024 della TV italiana. Dopo l’introduzione del Prof. Massimo Scaglioni, l’incontro vedrà gli interventi di Fabrizio Angelini (Amministratore Delegato Sensemakers), Rosario Donato, (Direttore Generale Confindustria Radio Televisioni), Emilio Pucci (Direttore eMedia), e Alessandra Rossi (Global Ad Intel Product Strategy Leader Nielsen), che analizzeranno e commenteranno le principali tendenze presentate nella nuova edizione del volume. Seguirà una tavola rotonda moderata dal Prof. Massimo Scaglioni incentrata sulle sfide odierne della multipolarità per i broadcaster, i produttori e il mercato. Parteciperanno alla discussione: Federico Di Chio (Direttore Marketing Strategico Gruppo Mediaset), Roberta Lucca (Direttrice Marketing Rai), Aldo Romersa (VP Programming Warner Bros. Discovery) e Chiara Sbarigia (Presidente APA – Associazione Produttori Audiovisivi). Giunta alla sua quarta edizione, la ricerca alla base del progetto Annuario della TV – inaugurata nel 2021 con un’edizione dedicata al rapporto tra televisione e pandemia, proseguita nel 2022 con il volume Total TV e nel 2023 con Televisione Resiliente – è diretta dal Prof. Massimo Scaglioni ed è realizzata da Ce.R.T.A. (Centro di Ricerca sulla Televisione e gli Audiovisivi dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano) in collaborazione con partner di primaria importanza del settore a livello nazionale, come Auditel, APA – Associazione Produttori Audiovisivi, Confindustria Radio Televisioni, eMedia, Nielsen, Sensemakers, UPA – Utenti Pubblicità Associati. Inoltre, anche quest’anno il progetto ha ottenuto il prestigioso patrocinio di AGCOM – Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni. L’evento è in programma per giovedì 5 dicembre 2024 alle ore 10.30 presso l’aula G.127 Pio XI dell’Università Cattolica di Milano in Largo Gemelli 1. Per motivi organizzativi è richiesto a chi desidera partecipare la propria conferma all’indirizzo email: certa@unicatt.it Scarica QUI la locandina dell’evento.

Evento di presentazione del volume “L’Italia secondo Auditel”

È in programma per lunedì 25 novembre 2024 alle ore 17.30 presso la Sala Stabat Mater della Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna l’evento di presentazione del volume a cura di Massimo Scaglioni “L’Italia secondo Auditel. Quarant’anni di ricerca sul pubblico della tv e dei media”, edizioni Il Mulino. Fondata nel 1984, Auditel ha compiuto i suoi primi quarant’anni di vita. In quattro decenni, la società che misura gli ascolti della TV ha rappresentato uno specchio, ma anche un fattore cruciale di trasformazione dell’intero sistema mediale nazionale. In un momento di forte cambiamento della televisione, ma anche del Paese, la fondazione di Auditel ha fatto nascere il concetto stesso di audience. Da quel momento, ogni passaggio importante nella storia della TV è segnato da un’evoluzione nel modo di pensare e misurare il pubblico, con Auditel che è cartina di tornasole dei cambiamenti che hanno caratterizzato i media, la società e la cultura popolare nazionale. Adottando una molteplicità di sguardi e metodologie, il volume estende la propria indagine a un’inedita storia culturale e sociale della televisione in Italia, dagli anni del «duopolio» RAI-Fininvest/Mediaset alla odierna Tv delle piattaforme, dello streaming e della total audience. Durante l’incontro dialogheranno con il Professore Massimo Scaglioni, Direttore del Centro di Ricerca Ce.R.T.A., Riccardo Brizzi, Professore ordinario di Storia Contemporanea presso l’Università di Bologna dove dirige il Dipartimento delle Arti, Giacomo Manzoli, Professore ordinario di Cinema, Fotografia, Televisione presso l’Università di Bologna e Presidente della Consulta Universitaria del Cinema (CUC), e Lorenzo Sassoli de Bianchi, Presidente di Auditel. La partecipazione è libera e gratuita, fino ad esaurimento dei posti disponibili. Per confermare la propria presenza si prega di scrivere a segreteria.certa@unicatt.it. Maggiori informazioni sono disponibili qui o scrivendo all’indirizzo segreteria.certa@unicatt.it. Scarica qui la locandina dell’evento

Una svolta “Unica”: le performance dei documentari di Netflix Italia

Nello scorso articolo abbiamo esplorato la breve storia e le caratteristiche della “Netflix non-fiction” e la convenienza, per una piattaforma streaming globale, di investire nell’unscripted. Ma qual è, nello specifico, il posizionamento di Netflix Italia nell’ambito della produzione di documentari e perché, stando ai dati di prima parte rilasciati dalla piattaforma, Unica – l’inchiesta sulla fine della relazione tra Ilary Blasi e Francesco Totti – ha rappresentato una mossa corretta? Produzione indipendente e alti production values Secondo il rapporto APA della stagione scorsa, buona parte dei documentari italiani sono tuttora realizzati internamente alle strutture produttive delle reti e degli editori. I titoli Netflix, invece, sono quasi esclusivamente a produzione esterna (oltre a Fremantle, Banijay, Stand By Me e Indigo, il gruppo si è affidato anche a realtà indipendenti minori come 42, Nutopia, MDE Films e B&B Film), fornendo quindi un contributo significativo allo sviluppo dell’industria audiovisiva italiana. A maggior ragione se si considera che i Netflix Original, rispetto anche a quelli di altre piattaforme streaming, godono quasi sempre di una release in tutte le library in cui è presente il gruppo. Una specificità che dovrebbe garantire una visibilità più elevata ai documentari italiani, nonostante questi siano pensati primariamente per il mercato locale. Anche per questi motivi, come chiarito in diverse occasioni sempre da Giovanni Bossetti, Netflix si considera uno degli attori propulsivi del “rinascimento” del documentario nazionale, genere che è considerato in forte fermento: si contano infatti più di 550 ore di contenuto di questo tipo per i servizi di media audiovisivi (SMAV) nella stagione 22/23, con un incremento del 5% rispetto all’anno precedente. Pur rappresentando, in termini quantitativi, ancora una piccola parte dell’offerta originale di documentari per gli SMAV (lo 0,9% nella stagione 22/23, secondo il rapporto APA), i contenuti di Netflix Italia hanno production values significativamente più elevati rispetto alle altre reti e piattaforme e risultano quindi altamente riconoscibili. In media, un documentario italiano commissionato a un produttore indipendente ha un costo complessivo di 500mila euro, un costo per episodio di circa 187mila euro e un costo per minuto di 5mila euro[1]. I titoli Netflix costano almeno quattro volte di più: in media 2,1 milioni di euro, con un costo per episodio di 550mila euro e uno per minuto di 14mila[2], dati che hanno un impatto evidente in termini di qualità percepita. In base ai due report semestrali del gruppo, il numero totale delle visualizzazioni degli 8 titoli presenti nei ranking ufficiale è pari a 11.600.000 – in media 1.450.000 per contenuto –, valori che, complessivamente, appaiono molto alti per un genere audiovisivo tuttora considerato di “nicchia”. Il caso Unica Tra i docu più visti nel 2023 primeggia, come anticipato qui, Unica (5.900.000 views), finito al centro di polemiche per l’elevato costo di produzione – secondo alcuni imputabile al cachet riservato a Ilary Blasi – e per una presunta richiesta di contributi pubblici. Se però si incrociano i costi delle opere riportati dalla Direzione generale Cinema e Audiovisivo con i dati sulle audience di Netflix (la stima tiene insieme entrambi i report per avere una visione sull’intero anno), Unica risulta il documentario con il miglior ritorno sugli investimenti in termini di spettatori raggiunti, con performance migliori di quelle dei docu dello stesso periodo su Alex Schwarzer e Vasco Rossi (quest’ultimo, tra l’altro, costato 600mila euro in più). Il calcolo risulta in parte viziato dal fatto che le docuserie hanno differenti date d’uscita e che le visualizzazioni sono riferite al solo anno 2023, penalizzando, nel computo del costo per singola visione, i titoli meno recenti, che con buona probabilità sono nella fase “calante” del proprio ciclo di vita. Dei titoli Netflix, infatti, non si possono tracciare con precisione i consumi a partire da una data specifica per un certo lasso di tempo, a meno che questi non siano finiti nella Top 10 globale (cosa mai accaduta per i docu italiani). Eppure, si può operare un confronto tra Unica, Vasco Rossi – Il Supervissuto (usciti nello stesso mese) e Il Principe (che ha avuto una release pochi mesi prima): negli ultimi due casi ogni visualizzazione ottenuta sulla piattaforma nell’arco del 2023 è costata, in media, dagli 80 centesimi fino ai 3,7 euro, contro invece gli appena 40 centesimi del documentario su Ilary Blasi. Indubbiamente, Unica costituisce uno dei risultati migliori ottenuti da Netflix Italia nell’ambito dei documentari, segnando anche una presenza record (4 settimane consecutive) nella top 10 italiana, eguagliata di recente solo da Il giovane Berlusconi (di cui però non sono ancora disponibili i dati di visione, essendo uscita nel 2024). Viene quindi riconfermata la forza di un nuovo tipo di narrazione, più pop e maggiormente ancorata all’attualità, parte di una più ampia strategia di diversificazione dell’offerta che comprende anche altri generi dell’unscripted (come il “rap show” Nuova scena, con Fabri Fibra, Geolier e Rose Villain). Farà forse storcere il naso a chi credeva, sulla scie delle dichiarazioni del 2012 di Ted Sarandos, che Netflix avrebbe seguito le orme della quality TV di HBO, ma come riformulato dallo stesso dirigente pochi giorni fa: «vogliamo essere la HBO e la CBS e la BBC e tutte le altre reti del mondo che intrattengono le persone, senza limitarci alla sola HBO. Dobbiamo avere una varierà molto ampia di cose che la gente guardi e ami.» Una svolta generalista che sia unica nel suo genere. E di cui Unica rappresenta il caso più emblematico nel contesto italiano. [1] Stima basata su un campione di 70 titoli indicizzati dalla DgCA su 230 documentari televisivi della stagione 22/23. [2] Stima basata su 6 titoli indicizzati dalla DgCA su 11 documentari Netflix. [3] Sono qui state sommate le visualizzazioni presenti nei dei due report semestrali finora rilasciati dalla piattaforma, riferiti all’anno solare 2023. Nel caso del primo report semestrale – che non prendeva in considerazione il numero di visualizzazione, ma solo le ore di visione – il dato sulle views è stato ricavato dividendo le ore totali viste per la durata del contenuto (e approssimando la cifra alle migliaia) per uniformarlo allo standard del …

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Disponibile la nuova edizione dello studio a cura di CRTV “Canali TV in Italia”

L’Ufficio Studi e Ricerche di Confindustria Radio Televisioni ha recentemente pubblicato la nuova edizione dello studio “Canali TV in Italia”. La ricerca offre una fotografia aggiornata del sistema audiovisivo nazionale, sia in termini di broadcasting che di streaming. Nel rapporto viene inoltre tratteggiato il quadro evolutivo dell’offerta di canali TV in Italia nel periodo 2012-2023 e si illustrano le principali innovazioni tecnologiche che stanno ridisegnando il settore televisivo domestico. Il report completo è disponibile al seguente link:

Da Sanpa a Il giovane Berlusconi: alla ricerca della Netflix non-fiction

Il 23 maggio 2024 è stato pubblicato il secondo Netflix Engagement Report che – con i dati sulle visualizzazioni collezionate da più di 18.000 titoli tra stagioni e film – offre una panoramica sui titoli maggiormente apprezzati dal pubblico della piattaforma on-demand. È la seconda volta che Netflix rilascia un documento di questo genere e, per quanto si tratti di dati di prima parte – non confrontabili, quindi, con quelli Auditel o di altri JIC – è curioso notare le collocazioni dei vari contenuti e le metriche utilizzate per misurarne l’interesse. Molti articoli si sono cimentati nell’interpretazione delle classifiche, alla ricerca soprattutto dei posizionamenti delle serie e dei film italiani, originali o su licenza. Pochi, però, si sono soffermati sui documentari, un genere che per Netflix Italia rappresenta una parte sempre più rilevante e innovativa dell’offerta originale. Il loro ruolo merita di essere esplorato, in particolare a seguito di alcune critiche rivolte a Unica, il docu sulla fine della relazione tra Ilary Blasi e Francesco Totti, uscito a fine novembre 2023 e costato più di due milioni di euro: cifra da alcuni ritenuta eccessiva, anche a fronte di una presunta richiesta di contributi pubblici (comunque mai erogati). A partire dagli ultimi numeri comunicati della piattaforma, proviamo quindi a ipotizzare quali sono le specificità del documentario Netflix e perché un “costoso” lungometraggio sulla fine di una love story, non solo funziona, ma conviene. Piattaforma globale, radicamento nazionale: le caratteristiche del docu Netflix Si dipana in cinque episodi – curati da Gianluca Neri insieme a Carlo Gabardini, Paolo Bernardelli e Cosima Spender – la ricostruzione storica che segna l’esordio, per Netflix Italia, della programmazione originale di non-fiction. Il 30 dicembre 2020 viene infatti caricato SanPA: immagini e video provenienti da 51 differenti archivi e 180 ore di interviste illustrano, per una durata di circa 5 ore, luci e tenebre della comunità di recupero di San Patrignano. Al centro la vita – dalla nascita alla caduta, passando per la crescita, la fama e il declino – del suo controverso fondatore, Vincenzo Muccioli, in un racconto a più voci che restituisce in modo vivido una tragedia insieme personale e collettiva.  Nello stesso periodo, forte probabilmente del successo di critica ottenuto dall’opera, premiata anche con un Nastro d’argento, la sezione italiana del colosso dello streaming definisce una sua “linea docu”. Tre sono i principali progetti che vengono sviluppati e rilasciati negli anni successivi: Wanna, Il caso Alex Schwazer e Il Principe. L’obiettivo diventa realizzare «storie specifiche e riconoscibili a livello locale». «Dovevano avere un elemento di esclusività, con materiali inediti», ricordava lo scorso giugno a The Hollywood Reporter il manager a capo dell’area documentari e unscripted di Netflix Italia, Giovanni Bossetti, «e trattare anche dei temi più ampi, con cui raggiungere un pubblico più orizzontale». Pur essendo partiti con storie mystery e true crime (SanPa e Vendetta, guerra all’antimafia, anche se Bossetti ha specificato che «non abbiamo mai lavorato a un crime puro»), gli approfondimenti e le inchieste targate Netflix hanno finito nel tempo per abbracciare un più ampio ventaglio di generi, tanto in termini di tagli di racconto – come il “docu-show” con protagonista Cattelan, lo speciale sul film di Sorrentino È stata la mano di Dio e il documental su Ilary Blasi – quanto di argomenti trattati. Nel 2022 in un’intervista a ilPost, Bossetti esprimeva il desiderio di «procedere su un doppio binario»: da una parte la «volontà di cercare idee originali che si muovano nell’alveo di generi conosciuti e che il pubblico ha già dimostrato di apprezzare» e dall’altra la voglia di «capire se ci possano essere interpretazioni italiane» di cose che avevano funzionato all’estero. Da circa due anni a questa parte, con Wanna e poi con Il giovane Berlusconi, Vasco Rossi – Il Supervissuto e Unica, si è consolidato nello specifico un filone che si muove verso un racconto molto pop e colorato, in una dinamica che da un lato riverbera le logiche delle reti generaliste (con i retroscena a tinte rosa di Unica) e dall’altro si propone di raccontarne parte della storia, come nel caso de Il giovane Berlusconi. Tra i formati, a prevalere è la docuserie, per la quale Netflix può rivendicare un ruolo pionieristico nel contesto italiano, almeno in termini di episodi con una forte continuità narrativa. A essere selezionate sono invece per la maggior parte storie limited, con una conclusione definita o una limitazione temporale riconoscibile. Nel caso del documentario questo si traduce in racconti circoscritti nello spazio e nel tempo, tendenzialmente lontani dall’attualità o comunque con una ricostruzione dei fatti in grado di restituire un preciso orizzonte di senso, sulla scia di quanto si fa per la serialità con sceneggiatura. Bossetti ha parlato, a questo riguardo, della necessità di «porsi questioni di linguaggio», per esempio lavorando sulla struttura del racconto con una «attenzione a come scandire le puntate, a qual è il punto di tensione di ogni episodio» e applicando «strumenti di lavoro del mondo scripted ai racconti del reale, che non devono dimenticare mai che c’è un abbonato che va agganciato e fatto appassionare». I documentari su Vasco Rossi e Ilary Blasi confermano però l’intenzione di Netflix di occuparsi anche di «storie più recenti e non per forza legate al passato», probabilmente alla ricerca di un pubblico più ampio. Ad ogni modo, differentemente da quanto fatto per altri generi (come il reality, il dating o anche la stessa serialità), con il documentario si punta in modo esclusivo su volti e tratti identitari. Il docu italiano diventa quindi un prodotto peculiare per un gruppo solitamente orientato verso il glocal commissioning. «Non credo molto a questa cosa della “storia che viaggia”. Per me è importante parlare agli abbonati italiani. Le serie sono disponibili ovunque, e vengono viste all’estero. Questo è chiaro. Però il nostro primo obiettivo restano gli spettatori italiani.» (Giovanni Bossetti, The Hollywood Reporter Roma, 2023) Una visione che è trasversale alle categorie dell’offerta – sono di qualche giorno fa le parole rivolte dal co-ceo di Netflix Ted Sarandos agli allievi del Centro Sperimentale di …

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Switch-off: a che punto siamo?

A più di tre anni dall’inizio della transizione al nuovo digitale terrestre, prosegue il dibattito sullo switch-off. Entro il primo settembre Rai si impegna ad avviare la trasmissione di uno dei suoi tre MUX in DVB-T2, lo standard trasmissivo del digitale terrestre di seconda generazione. Questa notizia, già anticipata, è ora ufficiale, come attestato nel Contratto Nazionale di Servizio tra Rai e il Ministero delle Imprese e del Made in Italy pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso 25 maggio. Nonostante i timori alimentati nelle ultime settimane all’interno della stampa generalista e da alcune associazioni dei consumatori circa la necessità di una spesa imminente per l’adeguamento degli apparecchi non ancora compatibili con il nuovo standard, la decisione non avrà alcuna conseguenza per gli spettatori. Rai sembra infatti intenzionata a garantire la continuità dei programmi attraverso la trasmissione in simulcast anche nello standard attuale. Tuttavia, è fondamentale comprendere il contesto e le motivazioni di questa novità, che fa parte di un progetto più ampio di ridefinizione del profilo tecnologico del digitale terrestre nazionale. Ripercorriamo quindi i passaggi tecnici della transizione in corso verso la “nuova TV digitale” e analizziamo l’impatto che questa evoluzione sta avendo sul processo di aggiornamento del parco televisori in Italia. Gli step tecnici dello switch-off: Il DVB-T2 rappresenta l’ultima generazione dello standard per la trasmissione dei contenuti televisivi via etere e costituisce la tappa finale del processo di “secondo switch-off” avviato in Italia nel 2020. L’introduzione di questo nuovo standard si è reso indispensabile per via della riduzione dello spettro frequenziale destinato al broadcasting radiotelevisivo. Per far fronte alla diminuita disponibilità di frequenze trasmissive risultante dal rilascio della banda 700MHZ (avvenuto a luglio 2022) per lo sviluppo del 5G e coordinato a livello di Unione Europea, il legislatore italiano ha dovuto infatti pianificare delle innovazioni tecniche che consentissero la continuità di trasmissione dei broadcaster nazionali e locali, ora costretti a doversi riorganizzare in uno spazio ristretto. Il primo cambiamento si è verificato a fine 2022 con il passaggio alla codifica video Mpeg4, che per gli spettatori ha comportato l’aggiornamento degli apparecchi tv non ancora compatibili con l’alta definizione. Il passaggio definitivo al DVB-T2 (inizialmente previsto dalla legge nazionale per il 2023) è stato invece rimandato rispetto alla roadmap originaria e per il momento non possiede ancora una data ufficiale, motivo per cui la recente notizia dell’inizio delle trasmissioni di alcuni canali del servizio pubblico con il nuovo standard non deve creare preoccupazione. Il ruolo dello switch-off nella diffusione della CTV: Come noto, negli ultimi anni il passaggio al digitale terrestre di nuova generazione ha esteso significativamente la presenza di tv connesse nelle case degli italiani. Detto in altre parole, l’aggiornamento dei televisori obsoleti in favore di apparecchi compatibili con i nuovi standard tecnologici del DTT ha rappresentato senza dubbio una delle ragioni principali della crescita della smart tv. Tra il 2021 e il 2022, ad esempio, il dato della smart tv ha visto un aumento consistente, passando da 15,3 milioni di device a luglio 2021 a 17,1 milioni a maggio 2022 (fonte: ricerca di base Auditel-Ipsos). Inoltre, secondo i dati pubblicati nell’Annuario 2023, a maggio 2023 la maggior parte degli apparecchi tv domestici (quasi il 66%) risultava pronta per lo step finale: dei 43,1 milioni di schermi tv conteggiati (il dato si riferisce al parco tv della prima casa), i televisori compatibili con il nuovo standard DVB-T2 ammontavano a 28,4 milioni mentre quelli non conformi erano circa 14,7 milioni. (Carlotta Colacurcio)

Regno Unito: pubblicato il nuovo rapporto di OFCOM sul futuro della distribuzione televisiva

L’OFCOM, l’ente regolatore del mercato delle telecomunicazioni nel Regno Unito, ha recentemente pubblicato il rapporto “Future of TV Distribution”. Nel documento vengono presentati i risultati di uno studio commissionato dal governo britannico per valutare lo stato di salute del digitale terrestre e i suoi possibili sviluppi in uno scenario audiovisivo sempre più orientato verso l’online. Secondo il report, il calo progressivo della fruizione lineare e l’incertezza dei broadcaster (il cui modello distributivo è oggi ibrido fra tv e rete) circa la sostenibilità economica della trasmissione televisiva tradizionale per via di costi operativi in crescita rappresentano alcune delle principali sfide che la tv via etere dovrà affrontare nei prossimi anni. Per continuare a garantire l’accesso universale ai contenuti televisivi in un mercato in continua evoluzione, l’Ofcom propone tre possibili direzioni per il futuro: mettere in campo degli investimenti per rendere più efficiente la trasmissione del segnale del digitale terrestre; trasformare il digitale terrestre in un servizio con un numero limitato di canali di servizio pubblico; pianificare una campagna che agevoli la transizione degli spettatori verso il consumo televisivo via internet con l’obiettivo a lungo termine di disattivare il DTT favorendo inoltre l’inclusione digitale. Il report pubblicato il 9 maggio è disponibile al seguente link: https://www.ofcom.org.uk/__data/assets/pdf_file/0024/285018/Future-of-TV-Distribution-Report-to-Government.pdf