Nello scorso articolo abbiamo esplorato la breve storia e le caratteristiche della “Netflix non-fiction” e la convenienza, per una piattaforma streaming globale, di investire nell’unscripted. Ma qual è, nello specifico, il posizionamento di Netflix Italia nell’ambito della produzione di documentari e perché, stando ai dati di prima parte rilasciati dalla piattaforma, Unica – l’inchiesta sulla fine della relazione tra Ilary Blasi e Francesco Totti – ha rappresentato una mossa corretta?
Produzione indipendente e alti production values
Secondo il rapporto APA della stagione scorsa, buona parte dei documentari italiani sono tuttora realizzati internamente alle strutture produttive delle reti e degli editori. I titoli Netflix, invece, sono quasi esclusivamente a produzione esterna (oltre a Fremantle, Banijay, Stand By Me e Indigo, il gruppo si è affidato anche a realtà indipendenti minori come 42, Nutopia, MDE Films e B&B Film), fornendo quindi un contributo significativo allo sviluppo dell’industria audiovisiva italiana. A maggior ragione se si considera che i Netflix Original, rispetto anche a quelli di altre piattaforme streaming, godono quasi sempre di una release in tutte le library in cui è presente il gruppo. Una specificità che dovrebbe garantire una visibilità più elevata ai documentari italiani, nonostante questi siano pensati primariamente per il mercato locale. Anche per questi motivi, come chiarito in diverse occasioni sempre da Giovanni Bossetti, Netflix si considera uno degli attori propulsivi del “rinascimento” del documentario nazionale, genere che è considerato in forte fermento: si contano infatti più di 550 ore di contenuto di questo tipo per i servizi di media audiovisivi (SMAV) nella stagione 22/23, con un incremento del 5% rispetto all’anno precedente.
Pur rappresentando, in termini quantitativi, ancora una piccola parte dell’offerta originale di documentari per gli SMAV (lo 0,9% nella stagione 22/23, secondo il rapporto APA), i contenuti di Netflix Italia hanno production values significativamente più elevati rispetto alle altre reti e piattaforme e risultano quindi altamente riconoscibili. In media, un documentario italiano commissionato a un produttore indipendente ha un costo complessivo di 500mila euro, un costo per episodio di circa 187mila euro e un costo per minuto di 5mila euro[1]. I titoli Netflix costano almeno quattro volte di più: in media 2,1 milioni di euro, con un costo per episodio di 550mila euro e uno per minuto di 14mila[2], dati che hanno un impatto evidente in termini di qualità percepita. In base ai due report semestrali del gruppo, il numero totale delle visualizzazioni degli 8 titoli presenti nei ranking ufficiale è pari a 11.600.000 – in media 1.450.000 per contenuto –, valori che, complessivamente, appaiono molto alti per un genere audiovisivo tuttora considerato di “nicchia”.
Il caso Unica
Tra i docu più visti nel 2023 primeggia, come anticipato qui, Unica (5.900.000 views), finito al centro di polemiche per l’elevato costo di produzione – secondo alcuni imputabile al cachet riservato a Ilary Blasi – e per una presunta richiesta di contributi pubblici.
Se però si incrociano i costi delle opere riportati dalla Direzione generale Cinema e Audiovisivo con i dati sulle audience di Netflix (la stima tiene insieme entrambi i report per avere una visione sull’intero anno), Unica risulta il documentario con il miglior ritorno sugli investimenti in termini di spettatori raggiunti, con performance migliori di quelle dei docu dello stesso periodo su Alex Schwarzer e Vasco Rossi (quest’ultimo, tra l’altro, costato 600mila euro in più). Il calcolo risulta in parte viziato dal fatto che le docuserie hanno differenti date d’uscita e che le visualizzazioni sono riferite al solo anno 2023, penalizzando, nel computo del costo per singola visione, i titoli meno recenti, che con buona probabilità sono nella fase “calante” del proprio ciclo di vita. Dei titoli Netflix, infatti, non si possono tracciare con precisione i consumi a partire da una data specifica per un certo lasso di tempo, a meno che questi non siano finiti nella Top 10 globale (cosa mai accaduta per i docu italiani). Eppure, si può operare un confronto tra Unica, Vasco Rossi – Il Supervissuto (usciti nello stesso mese) e Il Principe (che ha avuto una release pochi mesi prima): negli ultimi due casi ogni visualizzazione ottenuta sulla piattaforma nell’arco del 2023 è costata, in media, dagli 80 centesimi fino ai 3,7 euro, contro invece gli appena 40 centesimi del documentario su Ilary Blasi. Indubbiamente, Unica costituisce uno dei risultati migliori ottenuti da Netflix Italia nell’ambito dei documentari, segnando anche una presenza record (4 settimane consecutive) nella top 10 italiana, eguagliata di recente solo da Il giovane Berlusconi (di cui però non sono ancora disponibili i dati di visione, essendo uscita nel 2024).
Viene quindi riconfermata la forza di un nuovo tipo di narrazione, più pop e maggiormente ancorata all’attualità, parte di una più ampia strategia di diversificazione dell’offerta che comprende anche altri generi dell’unscripted (come il “rap show” Nuova scena, con Fabri Fibra, Geolier e Rose Villain). Farà forse storcere il naso a chi credeva, sulla scie delle dichiarazioni del 2012 di Ted Sarandos, che Netflix avrebbe seguito le orme della quality TV di HBO, ma come riformulato dallo stesso dirigente pochi giorni fa: «vogliamo essere la HBO e la CBS e la BBC e tutte le altre reti del mondo che intrattengono le persone, senza limitarci alla sola HBO. Dobbiamo avere una varierà molto ampia di cose che la gente guardi e ami.» Una svolta generalista che sia unica nel suo genere. E di cui Unica rappresenta il caso più emblematico nel contesto italiano.
[1] Stima basata su un campione di 70 titoli indicizzati dalla DgCA su 230 documentari televisivi della stagione 22/23.
[2] Stima basata su 6 titoli indicizzati dalla DgCA su 11 documentari Netflix.
[3] Sono qui state sommate le visualizzazioni presenti nei dei due report semestrali finora rilasciati dalla piattaforma, riferiti all’anno solare 2023. Nel caso del primo report semestrale – che non prendeva in considerazione il numero di visualizzazione, ma solo le ore di visione – il dato sulle views è stato ricavato dividendo le ore totali viste per la durata del contenuto (e approssimando la cifra alle migliaia) per uniformarlo allo standard del secondo report.
(Nicola Crippa)