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Una svolta “Unica”: le performance dei documentari di Netflix Italia

Nello scorso articolo abbiamo esplorato la breve storia e le caratteristiche della “Netflix non-fiction” e la convenienza, per una piattaforma streaming globale, di investire nell’unscripted. Ma qual è, nello specifico, il posizionamento di Netflix Italia nell’ambito della produzione di documentari e perché, stando ai dati di prima parte rilasciati dalla piattaforma, Unica – l’inchiesta sulla fine della relazione tra Ilary Blasi e Francesco Totti – ha rappresentato una mossa corretta? Produzione indipendente e alti production values Secondo il rapporto APA della stagione scorsa, buona parte dei documentari italiani sono tuttora realizzati internamente alle strutture produttive delle reti e degli editori. I titoli Netflix, invece, sono quasi esclusivamente a produzione esterna (oltre a Fremantle, Banijay, Stand By Me e Indigo, il gruppo si è affidato anche a realtà indipendenti minori come 42, Nutopia, MDE Films e B&B Film), fornendo quindi un contributo significativo allo sviluppo dell’industria audiovisiva italiana. A maggior ragione se si considera che i Netflix Original, rispetto anche a quelli di altre piattaforme streaming, godono quasi sempre di una release in tutte le library in cui è presente il gruppo. Una specificità che dovrebbe garantire una visibilità più elevata ai documentari italiani, nonostante questi siano pensati primariamente per il mercato locale. Anche per questi motivi, come chiarito in diverse occasioni sempre da Giovanni Bossetti, Netflix si considera uno degli attori propulsivi del “rinascimento” del documentario nazionale, genere che è considerato in forte fermento: si contano infatti più di 550 ore di contenuto di questo tipo per i servizi di media audiovisivi (SMAV) nella stagione 22/23, con un incremento del 5% rispetto all’anno precedente. Pur rappresentando, in termini quantitativi, ancora una piccola parte dell’offerta originale di documentari per gli SMAV (lo 0,9% nella stagione 22/23, secondo il rapporto APA), i contenuti di Netflix Italia hanno production values significativamente più elevati rispetto alle altre reti e piattaforme e risultano quindi altamente riconoscibili. In media, un documentario italiano commissionato a un produttore indipendente ha un costo complessivo di 500mila euro, un costo per episodio di circa 187mila euro e un costo per minuto di 5mila euro[1]. I titoli Netflix costano almeno quattro volte di più: in media 2,1 milioni di euro, con un costo per episodio di 550mila euro e uno per minuto di 14mila[2], dati che hanno un impatto evidente in termini di qualità percepita. In base ai due report semestrali del gruppo, il numero totale delle visualizzazioni degli 8 titoli presenti nei ranking ufficiale è pari a 11.600.000 – in media 1.450.000 per contenuto –, valori che, complessivamente, appaiono molto alti per un genere audiovisivo tuttora considerato di “nicchia”. Il caso Unica Tra i docu più visti nel 2023 primeggia, come anticipato qui, Unica (5.900.000 views), finito al centro di polemiche per l’elevato costo di produzione – secondo alcuni imputabile al cachet riservato a Ilary Blasi – e per una presunta richiesta di contributi pubblici. Se però si incrociano i costi delle opere riportati dalla Direzione generale Cinema e Audiovisivo con i dati sulle audience di Netflix (la stima tiene insieme entrambi i report per avere una visione sull’intero anno), Unica risulta il documentario con il miglior ritorno sugli investimenti in termini di spettatori raggiunti, con performance migliori di quelle dei docu dello stesso periodo su Alex Schwarzer e Vasco Rossi (quest’ultimo, tra l’altro, costato 600mila euro in più). Il calcolo risulta in parte viziato dal fatto che le docuserie hanno differenti date d’uscita e che le visualizzazioni sono riferite al solo anno 2023, penalizzando, nel computo del costo per singola visione, i titoli meno recenti, che con buona probabilità sono nella fase “calante” del proprio ciclo di vita. Dei titoli Netflix, infatti, non si possono tracciare con precisione i consumi a partire da una data specifica per un certo lasso di tempo, a meno che questi non siano finiti nella Top 10 globale (cosa mai accaduta per i docu italiani). Eppure, si può operare un confronto tra Unica, Vasco Rossi – Il Supervissuto (usciti nello stesso mese) e Il Principe (che ha avuto una release pochi mesi prima): negli ultimi due casi ogni visualizzazione ottenuta sulla piattaforma nell’arco del 2023 è costata, in media, dagli 80 centesimi fino ai 3,7 euro, contro invece gli appena 40 centesimi del documentario su Ilary Blasi. Indubbiamente, Unica costituisce uno dei risultati migliori ottenuti da Netflix Italia nell’ambito dei documentari, segnando anche una presenza record (4 settimane consecutive) nella top 10 italiana, eguagliata di recente solo da Il giovane Berlusconi (di cui però non sono ancora disponibili i dati di visione, essendo uscita nel 2024). Viene quindi riconfermata la forza di un nuovo tipo di narrazione, più pop e maggiormente ancorata all’attualità, parte di una più ampia strategia di diversificazione dell’offerta che comprende anche altri generi dell’unscripted (come il “rap show” Nuova scena, con Fabri Fibra, Geolier e Rose Villain). Farà forse storcere il naso a chi credeva, sulla scie delle dichiarazioni del 2012 di Ted Sarandos, che Netflix avrebbe seguito le orme della quality TV di HBO, ma come riformulato dallo stesso dirigente pochi giorni fa: «vogliamo essere la HBO e la CBS e la BBC e tutte le altre reti del mondo che intrattengono le persone, senza limitarci alla sola HBO. Dobbiamo avere una varierà molto ampia di cose che la gente guardi e ami.» Una svolta generalista che sia unica nel suo genere. E di cui Unica rappresenta il caso più emblematico nel contesto italiano. [1] Stima basata su un campione di 70 titoli indicizzati dalla DgCA su 230 documentari televisivi della stagione 22/23. [2] Stima basata su 6 titoli indicizzati dalla DgCA su 11 documentari Netflix. [3] Sono qui state sommate le visualizzazioni presenti nei dei due report semestrali finora rilasciati dalla piattaforma, riferiti all’anno solare 2023. Nel caso del primo report semestrale – che non prendeva in considerazione il numero di visualizzazione, ma solo le ore di visione – il dato sulle views è stato ricavato dividendo le ore totali viste per la durata del contenuto (e approssimando la cifra alle migliaia) per uniformarlo allo standard del …

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Da Sanpa a Il giovane Berlusconi: alla ricerca della Netflix non-fiction

Il 23 maggio 2024 è stato pubblicato il secondo Netflix Engagement Report che – con i dati sulle visualizzazioni collezionate da più di 18.000 titoli tra stagioni e film – offre una panoramica sui titoli maggiormente apprezzati dal pubblico della piattaforma on-demand. È la seconda volta che Netflix rilascia un documento di questo genere e, per quanto si tratti di dati di prima parte – non confrontabili, quindi, con quelli Auditel o di altri JIC – è curioso notare le collocazioni dei vari contenuti e le metriche utilizzate per misurarne l’interesse. Molti articoli si sono cimentati nell’interpretazione delle classifiche, alla ricerca soprattutto dei posizionamenti delle serie e dei film italiani, originali o su licenza. Pochi, però, si sono soffermati sui documentari, un genere che per Netflix Italia rappresenta una parte sempre più rilevante e innovativa dell’offerta originale. Il loro ruolo merita di essere esplorato, in particolare a seguito di alcune critiche rivolte a Unica, il docu sulla fine della relazione tra Ilary Blasi e Francesco Totti, uscito a fine novembre 2023 e costato più di due milioni di euro: cifra da alcuni ritenuta eccessiva, anche a fronte di una presunta richiesta di contributi pubblici (comunque mai erogati). A partire dagli ultimi numeri comunicati della piattaforma, proviamo quindi a ipotizzare quali sono le specificità del documentario Netflix e perché un “costoso” lungometraggio sulla fine di una love story, non solo funziona, ma conviene. Piattaforma globale, radicamento nazionale: le caratteristiche del docu Netflix Si dipana in cinque episodi – curati da Gianluca Neri insieme a Carlo Gabardini, Paolo Bernardelli e Cosima Spender – la ricostruzione storica che segna l’esordio, per Netflix Italia, della programmazione originale di non-fiction. Il 30 dicembre 2020 viene infatti caricato SanPA: immagini e video provenienti da 51 differenti archivi e 180 ore di interviste illustrano, per una durata di circa 5 ore, luci e tenebre della comunità di recupero di San Patrignano. Al centro la vita – dalla nascita alla caduta, passando per la crescita, la fama e il declino – del suo controverso fondatore, Vincenzo Muccioli, in un racconto a più voci che restituisce in modo vivido una tragedia insieme personale e collettiva.  Nello stesso periodo, forte probabilmente del successo di critica ottenuto dall’opera, premiata anche con un Nastro d’argento, la sezione italiana del colosso dello streaming definisce una sua “linea docu”. Tre sono i principali progetti che vengono sviluppati e rilasciati negli anni successivi: Wanna, Il caso Alex Schwazer e Il Principe. L’obiettivo diventa realizzare «storie specifiche e riconoscibili a livello locale». «Dovevano avere un elemento di esclusività, con materiali inediti», ricordava lo scorso giugno a The Hollywood Reporter il manager a capo dell’area documentari e unscripted di Netflix Italia, Giovanni Bossetti, «e trattare anche dei temi più ampi, con cui raggiungere un pubblico più orizzontale». Pur essendo partiti con storie mystery e true crime (SanPa e Vendetta, guerra all’antimafia, anche se Bossetti ha specificato che «non abbiamo mai lavorato a un crime puro»), gli approfondimenti e le inchieste targate Netflix hanno finito nel tempo per abbracciare un più ampio ventaglio di generi, tanto in termini di tagli di racconto – come il “docu-show” con protagonista Cattelan, lo speciale sul film di Sorrentino È stata la mano di Dio e il documental su Ilary Blasi – quanto di argomenti trattati. Nel 2022 in un’intervista a ilPost, Bossetti esprimeva il desiderio di «procedere su un doppio binario»: da una parte la «volontà di cercare idee originali che si muovano nell’alveo di generi conosciuti e che il pubblico ha già dimostrato di apprezzare» e dall’altra la voglia di «capire se ci possano essere interpretazioni italiane» di cose che avevano funzionato all’estero. Da circa due anni a questa parte, con Wanna e poi con Il giovane Berlusconi, Vasco Rossi – Il Supervissuto e Unica, si è consolidato nello specifico un filone che si muove verso un racconto molto pop e colorato, in una dinamica che da un lato riverbera le logiche delle reti generaliste (con i retroscena a tinte rosa di Unica) e dall’altro si propone di raccontarne parte della storia, come nel caso de Il giovane Berlusconi. Tra i formati, a prevalere è la docuserie, per la quale Netflix può rivendicare un ruolo pionieristico nel contesto italiano, almeno in termini di episodi con una forte continuità narrativa. A essere selezionate sono invece per la maggior parte storie limited, con una conclusione definita o una limitazione temporale riconoscibile. Nel caso del documentario questo si traduce in racconti circoscritti nello spazio e nel tempo, tendenzialmente lontani dall’attualità o comunque con una ricostruzione dei fatti in grado di restituire un preciso orizzonte di senso, sulla scia di quanto si fa per la serialità con sceneggiatura. Bossetti ha parlato, a questo riguardo, della necessità di «porsi questioni di linguaggio», per esempio lavorando sulla struttura del racconto con una «attenzione a come scandire le puntate, a qual è il punto di tensione di ogni episodio» e applicando «strumenti di lavoro del mondo scripted ai racconti del reale, che non devono dimenticare mai che c’è un abbonato che va agganciato e fatto appassionare». I documentari su Vasco Rossi e Ilary Blasi confermano però l’intenzione di Netflix di occuparsi anche di «storie più recenti e non per forza legate al passato», probabilmente alla ricerca di un pubblico più ampio. Ad ogni modo, differentemente da quanto fatto per altri generi (come il reality, il dating o anche la stessa serialità), con il documentario si punta in modo esclusivo su volti e tratti identitari. Il docu italiano diventa quindi un prodotto peculiare per un gruppo solitamente orientato verso il glocal commissioning. «Non credo molto a questa cosa della “storia che viaggia”. Per me è importante parlare agli abbonati italiani. Le serie sono disponibili ovunque, e vengono viste all’estero. Questo è chiaro. Però il nostro primo obiettivo restano gli spettatori italiani.» (Giovanni Bossetti, The Hollywood Reporter Roma, 2023) Una visione che è trasversale alle categorie dell’offerta – sono di qualche giorno fa le parole rivolte dal co-ceo di Netflix Ted Sarandos agli allievi del Centro Sperimentale di …

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Switch-off: a che punto siamo?

A più di tre anni dall’inizio della transizione al nuovo digitale terrestre, prosegue il dibattito sullo switch-off. Entro il primo settembre Rai si impegna ad avviare la trasmissione di uno dei suoi tre MUX in DVB-T2, lo standard trasmissivo del digitale terrestre di seconda generazione. Questa notizia, già anticipata, è ora ufficiale, come attestato nel Contratto Nazionale di Servizio tra Rai e il Ministero delle Imprese e del Made in Italy pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso 25 maggio. Nonostante i timori alimentati nelle ultime settimane all’interno della stampa generalista e da alcune associazioni dei consumatori circa la necessità di una spesa imminente per l’adeguamento degli apparecchi non ancora compatibili con il nuovo standard, la decisione non avrà alcuna conseguenza per gli spettatori. Rai sembra infatti intenzionata a garantire la continuità dei programmi attraverso la trasmissione in simulcast anche nello standard attuale. Tuttavia, è fondamentale comprendere il contesto e le motivazioni di questa novità, che fa parte di un progetto più ampio di ridefinizione del profilo tecnologico del digitale terrestre nazionale. Ripercorriamo quindi i passaggi tecnici della transizione in corso verso la “nuova TV digitale” e analizziamo l’impatto che questa evoluzione sta avendo sul processo di aggiornamento del parco televisori in Italia. Gli step tecnici dello switch-off: Il DVB-T2 rappresenta l’ultima generazione dello standard per la trasmissione dei contenuti televisivi via etere e costituisce la tappa finale del processo di “secondo switch-off” avviato in Italia nel 2020. L’introduzione di questo nuovo standard si è reso indispensabile per via della riduzione dello spettro frequenziale destinato al broadcasting radiotelevisivo. Per far fronte alla diminuita disponibilità di frequenze trasmissive risultante dal rilascio della banda 700MHZ (avvenuto a luglio 2022) per lo sviluppo del 5G e coordinato a livello di Unione Europea, il legislatore italiano ha dovuto infatti pianificare delle innovazioni tecniche che consentissero la continuità di trasmissione dei broadcaster nazionali e locali, ora costretti a doversi riorganizzare in uno spazio ristretto. Il primo cambiamento si è verificato a fine 2022 con il passaggio alla codifica video Mpeg4, che per gli spettatori ha comportato l’aggiornamento degli apparecchi tv non ancora compatibili con l’alta definizione. Il passaggio definitivo al DVB-T2 (inizialmente previsto dalla legge nazionale per il 2023) è stato invece rimandato rispetto alla roadmap originaria e per il momento non possiede ancora una data ufficiale, motivo per cui la recente notizia dell’inizio delle trasmissioni di alcuni canali del servizio pubblico con il nuovo standard non deve creare preoccupazione. Il ruolo dello switch-off nella diffusione della CTV: Come noto, negli ultimi anni il passaggio al digitale terrestre di nuova generazione ha esteso significativamente la presenza di tv connesse nelle case degli italiani. Detto in altre parole, l’aggiornamento dei televisori obsoleti in favore di apparecchi compatibili con i nuovi standard tecnologici del DTT ha rappresentato senza dubbio una delle ragioni principali della crescita della smart tv. Tra il 2021 e il 2022, ad esempio, il dato della smart tv ha visto un aumento consistente, passando da 15,3 milioni di device a luglio 2021 a 17,1 milioni a maggio 2022 (fonte: ricerca di base Auditel-Ipsos). Inoltre, secondo i dati pubblicati nell’Annuario 2023, a maggio 2023 la maggior parte degli apparecchi tv domestici (quasi il 66%) risultava pronta per lo step finale: dei 43,1 milioni di schermi tv conteggiati (il dato si riferisce al parco tv della prima casa), i televisori compatibili con il nuovo standard DVB-T2 ammontavano a 28,4 milioni mentre quelli non conformi erano circa 14,7 milioni. (Carlotta Colacurcio)

Viola come il mare: il successo online non cannibalizza il lineare

L’uso da parte dei broadcaster dell’ambiente online come prima finestra distributiva dei propri titoli scripted di punta si dimostra, ancora una volta, una strategia di successo. Ne è testimonianza il boom di ascolti in streaming registrato dalla nuova stagione della fiction Viola come il Mare, rilasciata in anteprima su Mediaset Infinity a metà aprile (le prime tre puntate sono state pubblicate il 24 aprile e le rimanenti tre l’11 maggio) e in onda su Canale 5 a partire dal 3 maggio. Nelle prime due settimane dal rilascio in streaming delle prime tre puntate, la fiction Mediaset prodotta con Lux Vide ha raccolto ottimi ascolti sulla piattaforma proprietaria dell’editore. Secondo l’analisi realizzata da Sensemakers, tra il 24 aprile e il 9 maggio, ad esempio, la prima puntata della nuova stagione ha registrato su Mediaset Infinity più di 2,8 milioni di visualizzazioni (LS), raddoppiando i volumi registrati dalla puntata iniziale della prima stagione nei primi sedici giorni dalla sua pubblicazione. L’ampio successo digital della serie risulta ancora più eclatante se si considera la metrica del tempo speso: il dato TTS relativo al primo episodio è infatti cresciuto del 128% rispetto ai volumi registrati dal corrispettivo della prima stagione, superando i 104 milioni di minuti visti. Grazie alla crescita a tripla cifra delle numeriche relative alla fruizione digital, nel periodo 24 aprile – 9 maggio l’incremento di ascolto proveniente da Mediaset Infinity rispetto alla messa in onda lineare della fiction è stato pari al +28% per la prima puntata (trasmessa in back-to-back il 3 maggio) e +27% per la seconda (in onda il 9 maggio). Come già dimostrato dal caso Mare Fuori all’interno dell’ecosistema Rai, anche per Mediaset la scelta della distribuzione digital-first del prodotto fiction non solo si configura come segno di innovazione, ma si rivela altresì un metodo efficace per ampliare il successo della propria offerta. Inoltre, il rilascio in anteprima streaming della seconda stagione di Viola come il mare non ha compromesso la messa in onda tradizionale su Canale 5, confermando il duplice impatto positivo di questa nuova strategia. Osservando i risultati d’ascolto linear delle prime due puntate (media AMR 2 milioni 620 mila spettatori) si nota infatti come questi siano in linea con quelli raggiunti dalla prima stagione trasmessa nell’autunno 2022 (media AMR: 2 milioni 879 mila). Fonte dati: Sensemakers (Carlotta Colacurcio)

Il servizio pubblico in Italia nell’età delle piattaforme: un equilibrio complesso tra innovazione e tradizione

Nel corso della sua storia il servizio pubblico televisivo ha attraversato diverse fasi di trasformazione tecnologica e sociale, svolgendo da sempre un ruolo fondamentale per la cultura e la società europea. Tuttavia, il recente processo di platformization dell’industria mediale ha prodotto delle sfide inedite per gli editori di servizio pubblico. In risposta a questa situazione, la tv pubblica ha iniziato un graduale percorso di ridefinizione dei propri obiettivi, guidata dalla necessità di adattarsi al mutato contesto e di preservare al contempo i suoi principi identitari, come ad esempio quello di garantire a tutti i cittadini l’accesso a una gamma diversificata di contenuti. È questo il principale oggetto di studio di PSM-AP, un ambizioso progetto di ricerca internazionale di durata triennale che analizza attraverso un approccio comparativo come i servizi pubblici nazionali si stanno attrezzando per mantenere la propria rilevanza in uno scenario televisivo sempre più dominato dalle grandi piattaforme di streaming. Sostenuto dal programma di co-finanziamento CHANSE ERA-NET e guidato dalla Prof. Catherine Johnson (Università di Leeds, Regno Unito), il progetto PSM-AP si articola in diverse fasi e coinvolge sei paesi: Belgio (RTBF, VRT), Canada (CBC), Danimarca (DR, TV 2), Italia (RAI), Polonia (TVP) e Regno Unito (BBC, Channel 4, ITV). L’obiettivo del primo step della ricerca è stato quello di analizzare l’impatto che l’ascesa delle piattaforme sta avendo sulle policy aziendali dei media di servizio pubblico (PSM) e sulle normative che disciplinano il settore nei diversi paesi oggetto di studio. Il policy brief italiano “La transizione digitale del Servizio pubblico in Italia” è stato redatto dal Prof. Massimo Scaglioni, co-investigator del progetto PSM-AP, insieme ai ricercatori Antonio Nucci e Mattia Galli. Nel documento pubblicato recentemente vengono presentate in sintesi le evidenze emerse dall’analisi delle norme vigenti, delle convenzioni e dei contratti di servizio, delle relazioni annuali delle autorità regolatorie e più in generale del dibattito pubblico in corso. Le risorse e i documenti analizzati per questo primo step della ricerca evidenziano come nel contesto italiano le questioni riguardanti l’universalità, la riduzione del divario digitale e lo sviluppo tecnologico siano di fondamentale importanza per il servizio pubblico. Una delle attuali sfide per Rai consiste infatti nel farsi motore di innovazione senza mai tralasciare il suo tradizionale compito di non lasciare indietro nessuno. Per innovarsi e competere con le grandi piattaforme, l’editore ha recentemente sviluppato nuove strategie, come ad esempio l’utilizzo del proprio ambiente online come prima finestra distributiva di alcuni selezionati titoli. Tuttavia, la presenza di obiettivi in parte divergenti sia in termini di programmazione che di distribuzione e promozione dei contenuti rischia di generare delle criticità. Sarebbe pertanto auspicabile per Rai muoversi verso la definizione di una “strategia digitale chiara e condivisa”, favorendo inoltre la messa a punto di alcune azioni prioritarie, tra cui spiccano il tema della prominence sui telecomandi e sulle interfacce delle smart tv, la curation della propria offerta, la collaborazione sinergica con piattaforme terze e la maggiore trasparenza nell’impiego degli algoritmi. Il policy brief contenente una sintesi dei risultati e delle raccomandazioni proposte dagli autori dello studio è consultabile qui: https://psm-ap.com/italian-policy-brief-la-transizione-digitale-del-servizio-pubblico-in-italia/ (Carlotta Colacurcio)

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L’altalena delle quote. Cosa funziona (e non funziona) nella riforma del Tusmav

Approvata la riforma che ridefinisce le quote di finanziamento dell’audiovisivo Alcune quote scendono, altre salgono, ma il panorama rimane confuso. Il 20 marzo 2024 è stata approvata in via definitiva dal Consiglio dei ministri la riforma del Tusmav (Testo unico dei servizi media audiovisivi). Il governo ha recepito, con delle significative modifiche, le disposizioni integrative e correttive proposte dal parlamento su uno schema di decreto legislativo volto a ridefinire, tra le altre cose, il “sistema delle quote”, ovvero la percentuale che i “servizi di media audiovisivi” (imprese televisive e piattaforme OTT operanti in Italia) sono tenuti a investire in opere europee e italiane. Le modifiche, così come i vari pareri che le hanno precedute, dovrebbero correggere – «in considerazione dell’evoluzione della realtà del mercato» – la precedente normativa, approvata nel 2021 dal governo Draghi. La riforma ha negli ultimi giorni amplificato un dibattito che, eccezion fatta per pochi articoli sulla stampa generalista – con posizioni a volte massimaliste e poco aderenti alla realtà dei fatti – rimane confinato agli “addetti ai lavori”, tra appelli, comunicati stampa e memorie fatte pervenire alle commissioni parlamentari dagli operatori che si sono sentiti chiamati in causa. Poche, quindi, le ricostruzioni esaustive; molte, invece, le dichiarazioni dai toni allarmistici sul futuro dell’audiovisivo italiano. Un certo silenzio si è avvertito, oltre che sulle pagine delle maggiori testate, anche tra le forze politiche, a eccezione delle due principali anime della maggioranza: la Lega, apparentemente a favore di una diminuzione generalizzata delle quote, e Fratelli d’Italia, intenzionata soprattutto ad aumentare le percentuali dedicate ai contenuti italiani. Proviamo quindi a fare chiarezza su quanto realmente approvato dal governo, partendo da che cos’è il Tusmav e in cosa consiste il “sistema di quote” che predispone. Che cos’è il Tusmav? Il Testo unico dei servizi media audiovisivi si configura come l’evoluzione del Tusmar (Testo unico della radiotelevisione) emanato dalla L. n. 122/2004 (legge Gasparri), a sua volta in applicazione delle direttive europee sull’emittenza radiotelevisiva. L’attuale Testo unico nasce nello specifico dal Decreto Legislativo n. 208 del 8 novembre 2021 in attuazione della Direttiva UE 2018/1808, la “Servizi di media audiovisivi” (AVMSD) che, sulla scia della Direttiva “Televisione Senza Frontiere” (89/552/CEE) e delle sue successive modifiche, mira a favorire la libera circolazione dei contenuti audiovisivi europei nel mercato comunitario, proteggere la diversità culturale, tutelare i minori e fissare norme comuni sugli affollamenti pubblicitari. In merito soprattutto ai primi due obiettivi, la direttiva del 2018 si differenzia dalle precedenti per l’introduzione di obblighi (le cosiddette “quote”) anche nei confronti dei “fornitori di servizi di media audiovisivi a richiesta”, ovvero le piattaforme over-the-top come Netflix, Prime Video e Disney+. Nello specifico, il primo comma dell’articolo 13 della AVMSD sancisce che tali soggetti devono garantire «che i loro cataloghi contengano almeno il 30 % di opere europee e che queste siano poste in rilievo», mentre il secondo e il terzo comma lasciano la libertà ai singoli Stati membri di richiedere ai fornitori di media audiovisivi (anche lineari, come il servizio pubblico e le televisioni commerciali) di contribuire finanziariamente alla produzione di opere europee, sulla base delle loro entrate e in misura considerata proporzionata e non discriminatoria. Nel recepimento italiano (D. Lgs. 208/2021) tali obblighi di finanziamento vengono tradotti all’interno di due articoli, l’art. 54 e l’art. 55, rispettivamente dedicati agli operatori lineari (le reti Rai, Mediaset, Warner Bros. Discovery, Sky, Cairo, ecc.) e a richiesta (Netflix, Prime Video, Now, Disney+, Paramount+ ecc.). Lo schema di obblighi previsto dall’Italia risulta piuttosto stratificato e complesso (come rilevato anche da Agcom) ed è considerato, insieme a quello francese, tra i più protezionistici del continente. Per necessità di sintesi, si riporta qui di seguito, in una divisione a punti in base alla tipologia di operatore, il sistema di quote di finanziamento precedentemente in vigore, insieme alle modifiche approvate il 20 marzo 2024. Lo schema delle quote Dalla “televisione senza frontiere” ai “muri nazionali di quote” Né i suggerimenti del parlamento né le modifiche definitivamente approvate dal governo sono apparse andare in una direzione univoca, tanto da aver generato da un lato una certa confusione – rendendo complicato, al di là della loro interpretazione, anche il mero calcolo delle quote – dall’altro alcune letture “ideologizzate” o allarmiste: dai presunti favori alle televisioni commerciali (in particolare Mediaset), alla riduzione della serialità Netflix, fino all’affossamento della produzione indipendente e del comparto dell’animazione (che chiedeva una sotto-quota dedicata a broadcaster e streamers privati). Proviamo quindi, in base alle informazioni a disposizione, a ipotizzare cosa nel nuovo Tusmav potrebbe funzionare e cosa, invece, manca. La linea adottata dal governo è probabilmente riassunta nella dichiarazione del Presidente della Commissione Cultura della Camera dei Deputati Federico Mollicone (Fratelli d’Italia): «Bisogna sostenere l’industria italiana senza allontanare il mercato internazionale. Bisogna trovare una sintesi che è poi la parola magica della vera politica». Una forma di “equilibrismo” che, almeno per quanto riguarda gli streamers, si traduce in una diminuzione delle quote di investimento da destinare a opere europee, a cui fa da contraltare un aumento della loro percentuale di “italianità”. In sostanza, meno contenuti europei, ma, tra questi, più contenuti italiani. La riforma, ad ogni modo, non presuppone delle modifiche significative all’impianto precedente. La stessa articolazione delle quote è, nei fatti, rimasta invariata e forte rimane l’ispirazione alla trasposizione – con “struttura ad albero” – messa a punto dalla Francia (che ha un range di obblighi finanziari per i VOD che va dal 15% al 25% e ulteriori sotto-quote per i contenuti francesi e le opere filmiche), Paese che – ammesso che se ne condivida l’indirizzo protezionista – è spesso preso a modello in fatto di politica culturale. In tale orizzonte, appare ragionevole il mantenimento di uno schema che potrebbe, insieme ad altre forme di sostegno pubblico, aver finora contribuito a una crescita dei volumi produttivi dell’audiovisivo italiano. Apprezzabile, in questo senso, la scelta di non diminuire (ad eccezione di una leggera flessione sulla sotto-quota film) le percentuali di finanziamento in capo alle televisioni commerciali, che avrebbe amplificato il divario tra gli operatori lineari e non lineari. …

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40 anni di Auditel: la relazione alla Camera del Presidente Imperiali

Ricognizione storica e riflessione prospettica sulle dinamiche future: attorno a queste due direttrici ha impostato il proprio intervento Andrea Imperiali, consigliere di Auditel dal 2009 e Presidente dal 2016, nel corso della relazione tenutasi il 26 marzo presso la Sala della Regina e dedicata all’operato della società che dagli anni Ottanta monitora i consumi televisivi degli italiani. Nell’anno in cui ricorre il quarantennale della fondazione di Auditel – originata, come ha ricordato Imperiali, dalla volontà congiunta di tre figure chiave della storia televisiva del paese: Biagio Agnes, Silvio Berlusconi e Sergio Zavoli – si rendono infatti necessari, al contempo, la rilettura del percorso evolutivo della società e un ragionamento sulle complessità tecnologiche, regolamentari e concettuali che investono le prassi di misurazione degli ascolti nel panorama mediale odierno. Oltre a rimarcare il carattere pionieristico del modello di governance adottato da Auditel fino dall’atto di costituzione – il JIC, garanzia di trasparenza, rappresentatività ed equilibrio tra le forze di mercato – Imperiali ha sottolineato lo spirito adattivo della società, da sempre impegnata a rispondere alle modificazioni contestuali, se non addirittura a precorrere certe tendenze. In tal senso, il Presidente ha ricordato la recente integrazione tra i dati campionari e quelli censuari prodotti dal SuperPanel Auditel, cui si lega anche il duplice primato sovranazionale costituito dall’implementazione di codici univoci per il tracciamento della pubblicità addressable e online su tutte le piattaforme e dalla rilevazione integrale di un editore OTT come DAZN. Segnali, insomma, di un inesausto rinnovamento dei presupposti metodologici di Auditel, teso a intercettare, in una prospettiva di Total Audience, la pluralità dei consumi “disintermediati, asincroni, personalizzati” abilitati dal nuovo ecosistema digitale, che si ibridano con le modalità di fruizione tradizionali. Alla luce dei cambiamenti sistemici che stanno interessando le industrie mediali globali Imperiali ha inoltre ribadito la determinazione di Auditel nel porsi tanto come fonte informativa puntuale e di pubblico interesse – vanno in questa direzione le collaborazioni con Censis e ISTAT, oltre al recente inserimento all’interno del Sistema Statistico Nazionale – quanto come organo di mediazione con le Autorità di regolazione. Riguardo quest’ultimo versante i punti toccati dal Presidente spaziano dalla stringente necessità di un coordinamento europeo nell’inquadramento normativo dell’intelligenza artificiale, all’auspicata cessazione delle pratiche di automisurazione dei consumi, ancora vigenti tra numerosi soggetti del mercato: l’obiettivo comune, ha affermato Imperiali, deve essere quello di superare “la mancanza di trasparenza che grava sull’intero sistema”, a tutela delle dinamiche competitive e della democrazia digitale, ma anche dei consumatori, in termini di data protection e di pluralismo dell’offerta. (Giovanni Ceccatelli)

Record storico in streaming per Mare Fuori

Il fenomeno Mare Fuori espande sempre di più la sua portata. Il quarto capitolo della serie, distribuito come il precedente in anteprima su RaiPlay, ha battuto i record della scorsa stagione, dimostrando ancora una volta le potenzialità offerte dall’utilizzo sinergico di streaming e broadcasting da parte degli editori televisivi. Nel periodo 1-25 febbraio (i primi sei episodi della nuova stagione sono stati pubblicati il primo febbraio e i rimanenti otto il 14, lo stesso giorno della partenza su Rai2) le visualizzazioni di Mare Fuori 4 sono state 124 milioni (LS) per un totale di quasi 3 miliardi di minuti visti (TTS). Questi risultati straordinari hanno superato i numeri raggiunti dalla serie nel 2023, con un aumento del 18% nelle visualizzazioni e del 7% nel tempo speso grazie anche alla presenza di due episodi aggiuntivi. Oltre a dominare le classifiche dei contenuti editoriali più visti on demand nel mese di febbraio 2024 – sia dal punto delle visualizzazioni che del tempo speso tutti i 14 episodi sono presenti nei rispettivi ranking – la quarta stagione del teen drama di culto ha toccato un nuovo storico traguardo. Con 120.641.216 minuti visti in 24 ore, il primo episodio è stato il contenuto più fruito on demand in un singolo giorno da quando sono attive le rilevazioni Auditel Digital. Inoltre, nella Top10 dei contenuti VOD più visti in un giorno, cinque posizioni sono occupate dagli episodi dell’ultima stagione mentre due sono invece assegnate agli episodi 7 e 8 della terza stagione. Per comprendere il contributo essenziale fornito dalla componente digital nel contesto della Total TV, basti considerare che la fruizione on demand dei primi due episodi della quarta stagione di Mare Fuori ha generato nei primi tre giorni un TTS incrementale del 153% rispetto al tempo speso nella fruizione lineare classica.   Nonostante l’iperconsumo verificatosi con il rilascio digital-first, il debutto della quarta stagione su Rai 2 ha totalizzato ascolti piuttosto in linea con quelli della stagione precedente. La media dei primi quattro episodi (trasmessi in back-to-back il 14 e il 21 febbraio 2024) è stata di 1.264.000 spettatori (AMR) e per la terza stagione era stata di 1.312.000 spettatori. A dimostrazione che la distribuzione in streaming non pregiudica gli ascolti, ma consente un significativo ampliamento delle audience. Fonte dati: Sensemakers (Carlotta Colacurcio)

Total Audience: una soluzione imprescindibile per il futuro della TV

Nell’ambito dei sempre più marcati processi di convergenza digitale, gli attori dell’industria televisiva si sono trovati nel corso degli ultimi anni di fronte a una sfida senza precedenti: come misurare con precisione e in maniera univoca la fruizione cross-device e cross-piattaforma dei propri contenuti? La risposta a questa sfida è rappresentata dalla Total Audience, l’innovativo sistema di misurazione degli ascolti sviluppato da Auditel per cogliere l’intera portata del consumo televisivo contemporaneo. La Total Audience certificata Auditel rappresenta un modello unico a livello internazionale e si configura come un sistema rivoluzionario che integra gli ascolti della TV lineare con quelli dei device digitali attraverso l’utilizzo di metriche univoche e omogenee. Tuttavia, la Total Audience non è solo il punto d’arrivo, ma è anche il risultato di un percorso fatto di step evolutivi che hanno reso possibile tale innovazione e che nel corso del 2024 culmineranno nel suo completamento. Grazie agli sforzi tecnici e metodologici intrapresi dal JIC Auditel per assicurare la corretta raccolta, classificazione e somma di tutte le componenti di visione di un determinato contenuto televisivo, la Total Audience è oggi in grado di offrire agli editori una visione chiara e completa sui loro pubblici. A sottolineare l’assoluta centralità di questa misurazione sono stati recentemente i due principali broadcaster nazionali, Rai e Mediaset. Entrambi gli editori hanno infatti messo in evidenza il valore della Total Audience nel sistema televisivo contemporaneo identificandola come uno strumento imprescindibile per valutare appieno l’impatto e il successo della propria offerta. Durante l’incontro stampa tenutosi il 30 gennaio 2024 presso Mediaset, Federico Di Chio, direttore del marketing strategico del Gruppo, ha presentato i risultati d’ascolto del broadcaster commerciale relativi alla stagione 2023 mettendo in risalto l’importanza delle rilevazioni della Total Audience. Grazie all’implementazione di questo standard, nella scorsa stagione Mediaset ha registrato ascolti in crescita. Particolarmente significativa è stata l’audience incrementale fornita dalla fruizione digital su titoli come Temptation Island o Viola come il mare, la cui seconda stagione verrà infatti distribuita su Mediaset Infinity prima della sua messa in onda lineare. Inoltre, nel corso del suo intervento, Di Chio ha ripercorso gli step tecnici intrapresi da Auditel per il completamento della Total Audience evidenziando il valore aggiunto rappresentato dalla disponibilità (a partire dall’autunno 2024, secondo la roadmap illustrata durante la conferenza) di dati “ufficiali e totali” relativi alle campagne pubblicitarie. Analogamente, durante le conferenze stampa del Festival di Sanremo 2024, la direttrice del marketing Rai Roberta Lucca ha presentato i numeri record registrati dall’evento mettendo frequentemente in risalto la rilevanza della Total Audience come nuovo standard indispensabile per valutare e comunicare correttamente le performance di un programma. Secondo Lucca, con l’aumento esponenziale della fruizione digitale del Festival, risulta oggi essenziale fornire un dato d’ascolto che non si limiti più alla sola fruizione tradizionale del contenuto, ma che abbracci una prospettiva convergente in grado di sommare in maniera accurata le differenti componenti di visione dei vari target. (Carlotta Colacurcio)

Sanremo in numeri: edizione 2023 e attese per il 2024

A poche ore dall’inizio del 74° Festival di Sanremo, presentiamo i dati salienti dell’edizione 2023 in attesa di scoprire i nuovi risultati di quest’anno: il giudizio sull’andamento di questa edizione dipende infatti da un confronto ravvicinato con le performance dello scorso anno. Oltre al successo in ambito lineare, l’edizione 2023 dell’evento di intrattenimento per antonomasia della TV italiana ha registrato un forte incremento nella fruizione in streaming, confermando inoltre la sua capacità di generare interesse e ritualità attraverso i social. Gli ascolti lineari e lo streaming Sul versante del consumo televisivo tradizionale, l’edizione 2023 del Festival in onda su Rai1 dal 7 all’11 febbraio 2023 ha registrato ascolti elevati durante tutte le cinque serate dell’evento. Nella serata inaugurale l’ascolto medio (AMR) è stato di 10 milioni 758 mila, mentre per la finale, che è stata la serata più seguita dell’edizione, è stato raggiunto un picco di 12 milioni e 256 mila spettatori. La media complessiva di tutte le serate ha fatto registrare un ascolto complessivo (AMR) di 10,6 milioni di spettatori, per una share del 63,4%. Per avere subito una misura di come andrà l’edizione 2024 del Festival, è opportuno confrontare il dato di AMR della prima parte, quella più vista (lo scorso anno compresa fra le 21.18 e le 23.44): nel 2023, gli spettatori medi sono stati, in questa fascia, 14.170.000, per una share del 61,7%, con un platea generale dunque (TTV, ovvero le persone davanti al teleschermo) di 22.981.000 spettatori. Sono queste le soglie da tenere sott’occhio! Esplorando l’universo del consumo digital, nel 2023 Sanremo ha registrato numeri in forte crescita. Con 35,2 milioni di stream (LS) e 234,5 milioni di minuti consumati (TTS), il Festival è il contenuto unscripted targato Rai più visto in streaming nella stagione 2022-2023 (Fonte: elaborazione CeRTA su dati Sensemakers). Considerando il consumo digital in modalità live (simultaneo quindi alla messa in onda lineare), le visualizzazioni sono aumentate del 62% rispetto all’edizione 2022 e il tempo speso è cresciuto del 63%. Il notevole successo di ascolti digital non è si è limitato al consumo live, ma ha coinvolto anche la fruizione on demand (successiva alla messa in onda lineare). Rispetto al 2022, il volume delle visualizzazioni VOD è salito del 9% mentre il tempo speso è aumentato di ben il 46%, registrando un incremento in tutte le giornate. La centralità della smart TV Osservando gli ascolti on demand (VOD) suddivisi per device, i dati dell’edizione 2023 rilevati dalla Total Audience evidenziano un aumento significativo della fruizione da smart TV, in sintonia con la crescente penetrazione nelle case degli italiani di questi apparecchi. Ad esempio, la quota delle visualizzazioni (LS) relative alla prima serata del Festival provenienti da smart TV è passata da 12% nel 2022 a 30% nel 2023, mentre per la finale del 2023 la fruizione on demand da smart TV è aumentata del 18% rispetto all’anno precedente. La crescita del consumo non lineare tramite il televisore domestico è ancora più evidente se si considera il tempo speso: le smart TV hanno superato gli smartphone e sono state il dispositivo su cui si è guardato per più tempo il Festival. La presenza multi-piattaforma Estendendo l’analisi alle piattaforme social, i video di Sanremo 2023 pubblicati dagli account ufficiali di Rai tra il 7 e il 12 febbraio 2023 hanno registrato volumi di visualizzazioni considerevoli, con TikTok in testa con 115 milioni e 69 mila video views. Confrontando il dato video views di ciascuna piattaforma con gli stream VOD erogati su RaiPlay nello stesso periodo, è interessante osservare come il volume di visualizzazioni registrato sui social superi di gran lunga quello del servizio BVOD dell’editore: ad esempio, le visualizzazioni dei contenuti su Sanremo pubblicati su TikTok superano di quasi quattro volte quelle di RaiPlay, mentre su YouTube sono più del doppio rispetto agli stream di RaiPlay. Nel ranking dei dieci brand Rai più capaci di generare engagement sui social nella stagione televisiva 2022-2023, il Festival di Sanremo occupa il secondo posto con 24,4 milioni di interazioni totali. Instagram è stata la piattaforma più performante con circa 12,8 milioni di interazioni, seguita da TikTok, dove l’apertura ufficiale del profilo a poche settimane dall’inizio dell’evento ha prodotto più di 7,6 milioni interazioni. Su Facebook invece le interazioni sono state circa 3,5 milioni (Fonte: Elaborazioni CeRTA su dati Comscore). (Carlotta Colacurcio)